Avrei voluto cantare e ho pensato di farlo – il mio era soltanto un eco
e ho parlato, sì, ho parlato tanto in mezzo a tanti oppure sola con il mio amore – io credevo di dire
ma chi ha raccolto il filo guardato dentro il pozzo immerso il dito spezzato la linea illusoria di superficie se neppure nel mio profondo io stessa potevo?
tutto rimase suono mimesi e finzione incompetenza – ho creduto di vivere…
eppure
quando prendo contorno e il mio corpo si fonde al tuo o vedo un bimbo agitare le braccia, muovere piccoli passi vacillando con determinazione – sono viva!
Fine delle emozioni a onda e dei cuori all’unisono – la mia clessidra è capovolta non più arcobaleno di sabbia ma nebbia e cenere
troppo a lungo è stato uniforme il tempo e lo spazio stretto – il mondo, roso dal virus, ora esplode
non canto più – ora è tempo della voce intima: scorre e vive dietro il suono dentro le parole non dette nella caverna dell’anima – alfa ed omega di un suono eterno: siamo usciti e ritorneremo nella sua liquida sfera
Non esiste un linguaggio umano per le saette di piombo e fuoco dal cielo gli squarci nel cemento e nei corpi per le anime nascoste a morire sotto travi e macerie, lentamente
le città sono deserti di cenere sotto l’occhio impassibile dei droni palazzi sventrati sigillano esseri umani – scantinati perduti senza pane e neppure una goccia d’acqua
a milioni sono fuggiti i passetti dei bimbi nella neve con le loro tutine pulite – in quel luogo, ora è morta l’innocenza
ci si vergogna a considerare che questo è stato e in questo momento esiste: un rosario perverso senza fine
neppure uno sarà dimenticato, dicono ma chi conosce il nome del vecchio, della madre, del soldato smembrati nei sacchi grigi? un calcolo a peso per i morti a quintali nelle fosse – le strade bruciano disseminate di ferraglie cavalli di frisia e stracci calcinati – chi mai li potrà riconoscere nominare ad uno ad uno prima che sia l’Apocalisse e gli Angeli terrificanti non lascino scampo a chi ha negato una goccia d’acqua a chi ha torturato, stuprato, ucciso nel segno di Caino?
E compresi che l’anno non era nuovo ma neppure la rabbia mi bastava per esistere, vivere nonostante – con i nervi scoperti, i tagli alle mani e nel cuore – nonostante il grigiore assoluto
mentre l’inverno dalle strade sale dalle rive fangose ai portoni dai mattoni corrosi fin dentro i cervelli, dilaga questo lunghissimo inverno, e non ha fine
La mia vita a lunghi intervalli non è vita estensione del respiro monotono pausa del pensiero sfregio del cuore
e meno sento, meno comprendo la voce umana – l’eleganza del fiore m’incanta la statura dell’albero e l’onda mi accarezza in sereno groviglio… io stessa non consisto più sono aria e amo la nuvola solo la nuvola in lieve dissolvimento
Di così esili fili quasi ragno io fossi, appeso al temporale o quasi foglia io fossi nel ruggire di rossa tramontana – sotto gli ultimi raggi mi sfilo…
fossi mai stata o forse mai avessi parlato con te né con nessuno
Sottile come carta velina la nostra esistenza vibra in bilico
fronte-retro, io sono e sono il nulla: mani trasparenti alla luce, foglie di pioppo al vento i miei pensieri sfumati in alone e baleno – così sottile la mia consistenza già proiettata in lontananze senza ritorno
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