Avevo un albero in testa
quasi schizzo di pino orientale –
segni grossi, a matita –
rami neri, ondulati a bandiera
su scogliera introversa
aghi a riccio, ed un picchio che batte
alfabeti incompresi a macchina
sullo sfondo, bianconero il ricordo
imbevuto in umido guazzo
avevo un albero in testa
con parole a matita, schizzi
di cuori cuneiformi e lettere armene
o glagolitiche forse, in carboncino
nero bruciante – un albero con incisioni
puntute di un dolore arcaico
sentivo l’eco
di un flauto rauco
quanto mi piace quest’albero in testa (ognuno di noi ha qualcosa su o dentro la testa, per non parlare del corpo e del cuore; ogni arteria ha qualcosa che non gli appartiene – è forse un’abduction? – ) e quanto più è grande tantopiù mi piace !
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Bellissima! E se non ci fosse l’immagine dell’albero sarebbe ancora più bella, perché le tue parole riescono a disegnarlo magnificamente. L’albero è una sorgente di linguaggio inesauribile, perché è esso stesso linguaggio. Soprattutto convincono quegli alfabeti arcaici, lingua dell’albero e albero essi stessi.
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Mi fa un grandissimo piacere risentirti, Giovanni, e sono contenta che il mio albero ti piaccia…forse in futuro il tuo suggerimento di modifiche potrebbe essermi utile, grazie:-)
dico in futuro perchè bisogna aspettare, a volte, il momento giusto e allora i testi possono maturare
marina
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