Grappolo di uva splendente
Mio paese,
grappolo di uva che splendi sul mare
quale futuro il millennio ci prepara?
Grappolo teso che intorno smuovi
profumi umori soccorsi grida,
ascolta la voce di chi ama la vita.
Sull’orizzonte corrono nubi
e invano invochiamo giorni
a nostra misura.
Mio paese,
grappolo di uva splendente
con la tua incoscienza
pensi forse di navigare,
senza scaronzare,
fra l’insano potere del mondo?
1997-1999
Breve dialogo con il corpo
Porti questo corpo come un peso
ma prima era il corpo
ad essere la tua vita.
Slanciato il corpo camminava
e lo seguivi, docile e indomita;
correvi, per le strade le macchine
non avevano per te problemi
il corpo dominava
e sorridevi.
Il corpo, ora, più non ti risponde
e conta gli anni anche se non si notano.
Adesso sei tu a portare il corpo
ed affrontare la quotidianità.
dicembre 1999
La chiocciolina di gaia
“Ho una chiocciolina” dice la bimba.
“È gentile, mi aiuta ad ascoltare
le voci e i suoni che pian piano
intorno a me riesco a scoprire,
così sorrido alla mamma
e capisco gli altri bambini”.
23 marzo 2000
Il silenzio dell’ulivo
La tua voce era il silenzio dell’ulivo
che cresce nella terra avara ma feconda.
Paziente eri come l’ulivo.
Seguivi il secolo
con alacrità di anni giovanili,
a te quasi centenario nulla sfuggiva:
l’ironia scivolava senza malizia
e il sorriso
accompagnava i miei giorni.
Ora le astate foglie
gemono al vento
e nel lungo mormorio
ascolto, padre, il tuo silenzio.
ascolto, padre, il tuo silenzio.
BIAGIA MARNITI RACCONTA SE STESSA
Lasciai Bari adolescente, ma a Roma (dove mio padre si trasferì per farmi seguire i corsi della Facoltà di Lettere che, nel ’38, a Bari non esisteva) un paese di braccianti come Ruvo, dove sono nata, lasciò il segno e ha costituito, nell’ambito di una coscienza vigile, un’esperienza storica.
Il giovane studioso Antonio Iurilli ha saputo cogliere «questa identità etnica sinceramente professata» e spiega: «un canto (quello della Marniti) non alieno da titaniche impennate meridionalistiche, che non disdegnano nemmeno l’energia fonetica dei dialettismi, in cui sentiamo palpitare – come segnalò Tommaso Fiore – le lotte bracciantili della Terra di Bari, né l’accesa fantasmagoria naturalistica del paesaggio meridionale. Una sottile concordanza con la pennellata solare e «contadina» di Cantatore. Molto più, dunque, di un esile sedimento di memoria storica ‘ruvestina’».
Nell’istanza amorosa, nel tema della città, nell’infinita avventura umana, la mia Puglia si è incuneata come una realtà frantumata: non pensiero dominante, ma un oggetto Sud, assunto in un mondo interiore, articolato, come ebbe a dire Pasolini.
Come molti sanno Marniti, anche se non appartiene all’onomastica locale, è il mio pseudonimo scelto consapevolmente. Volli abbinare nell’inventarlo qualche elemento del mio cognome Masulli, con un richiamo alla mia terra d’origine. Così conservai la sillaba iniziale Ma, pensando alla Puglia, in alcune zone arida, spesso argillosa e calcarea, l’immagine della marna mi portò a Marniti, la cui liquida vibrante ben si accompagna alla labiale e alla palatale di Biagia, nome di battesimo che mi piacque conservare perché insolito in una donna.
Quanto ai ricordi, i più fantasiosi e singolari sono legati all’infanzia. A Ruvo abitavamo nella casa materna in vico Loriano, n. 25, un cortile più che una strada. In fondo al vico c’era una stalla e al mattino i cavalli uscivano nitrendo. «Tutti-fiuri» nella via principale, sotto le finestre della mia casa, vendeva a gran voce frutta e ortaggi. La casa aveva una bella terrazza, ricca di vasi e tanta edera, e a maggio si copriva di roselline. Sulla porta della casa che dava sulla terrazza c’era un fregio antico e nel grande ingresso-soggiorno l’acqua del pozzo e un bellissimo pavone con la coda a ventaglio, brillante di riflessi verde-azzurri che sembrava venirti incontro per il benvenuto. Il pavone lucente era stato dipinto da Benedetto Nardi, il maestro che avviò all’arte pittorica Domenico Cantatore. Nel grande soggiorno, il 3 febbraio, mia madre con l’estroso aiuto di mio padre allestiva l’altare in onore di S. Biagio, preparava i «frisidd» o i «frisellini» benedetti offerti non solo agli ospiti, ma anche ai contadini e ai vicini che assiepavano le pareti in un’atmosfera tolstojana, mentre tra il freddo e la neve girandole e modesti fuochi d’artificio esplodevano nel vico.
La cerimonia venne continuata a Bari e a Roma, ove fino agli anni Sessanta ha partecipato incuriosita la Roma artistica e culturale.
Ora, il ricordo di quella cerimonia si rinnova con semplicità nella Casa di cura ove mia madre venne a mancare.
Della casa materna, venduta negli anni Trenta, è rimasto solo l’antico fregio. Anche la casa paterna, in via Modesti n. 16, tutelata dalla Soprintendenza, conserva i segni della sua «storia».
Un curioso aneddoto accompagna la mia nascita. Per l’occasione era venuta in casa una donna soprannominata «La Vuttucedd» che da indovina come era considerata sentenziò: «Sensitive o va ‘esse, ma bibliause».
Al nonno chiedevo di raccontarmi le sue «storie» che mi portavano in un mondo magico, per me possibile e vero, come la favola di Prevteline e la seggiola che gli rimaneva attaccata al sedere. Amavo il «komoncino» che mi preparava su un divanetto e consisteva nel disporre piccoli giocattoli in minuscole stanze, per una minuscola bambola che non esisteva.
Scrutavo gli avventori e i personaggi del luogo che si fermavano a chiacchierare amichevolmente, nella accogliente e festosa bottega dei nonni materni, e sulla Piazza del Castello, con inconscia ribellione, osservavo i braccianti con il mantello nero. Ricordo la sera il lumino ad olio e un certo suo sfrigolio come quello di un tarlo.
Mi turbavano il Carnevale con la sua allegria violenta e sensuale, i carri, le maschere in corsa, i coriandoli e i pizzicanti confetti di stoffa. Ricordo le processioni della Settimana santa, la festa dell’Ottavario del «Corpus Domini», le scampagnate alla Madonna delle Grazie, la banda musicale.
I fuochi d’artificio mi impaurivano. Ero ghiotta dei «cremini» che vendeva il farmacista Pasquale Costantino in Piazza Menotti Garibaldi, ove mi recavo dalla maestra Maria De Rosellis per la prima elementare. Veniva con me Raffaele, il figlio del medico Michele Ruta. Avevo cinque anni. Frequentai la seconda nella scuola pubblica di via Corato ed un giorno mi ferii un occhio con l’asticciuola.
Sostavo con stupore nel piazzale della Cattedrale, nell’atrio del palazzo Caputi che si alza superbo di fronte alla vecchia casa materna, all’altezza dell’arco omonimo: un arco snodantesi in un vicolo lungo e buio, un luogo adatto per uccisioni e rapimenti. Ma soltanto lo scorso anno ho visitato il Museo latta.
Prendevo il lento trenino Bari-Ruvo con entusiasmo e timore insieme, perché ogni volta mi sembrava di andare incontro a chissà quali avventure. Ma quel vagante trenino non esiste più. Amavo gli ulivi, i mandorli, le viti, i gelsi rossi, bianchi, i papaveri che vedevo lungo il viaggio.
Scrissi Meridione di getto a Roma, nel marzo 1942, ma l’inconsapevole vocazione poetica risale all’infanzia, ai racconti ché narravo a mia madre durante l’inverno.
I ricordi s’intrecciano negli anni trascorsi a Bari, negli anni giovanili affrontati a Roma in un isolamento interrotto soltanto dalle lezioni che frequentavo presso l’Università. Ma come donna mi sono sempre sentita intimamente libera – anche dalla donna del Sud – pronta ad affermare se stessa e conquistare la propria indipendenza e il proprio prestigio. Un atteggiamento cosciente e attivo che tocca la mia «pugliesità» o «ruvestinità» e tangenzialmente il più ampio discorso universitario che rifluiva in quello appena scoperto dei letterati e degli artisti romani.
In quei periodo ero una ragazza schiva, murata dentro. Lo scultore Marino Mazzacurati che a Roma aveva fama di essere anche un mordace «epigrammista» mi chiamò con simpatia «la poetessa». Ungaretti mi definì «nera», non per i capelli, ma per quella natura fiera e senza difese in cui mi dibattevo.
Biagia Marniti
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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l’ho conosciuta attraverso Anna Maria F. e anche perché era presidente del Rabelais.
grazie Marina.f
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[…] https://poesiedimarina.wordpress.com/2011/04/25/biagia-marniti/ […]
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Non so chi sia: la leggo da te, qui.
Quella sul corpo è tanto vicina a me.
Quella sul padre, anche.
Grazie
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anch’io la conosco poco, ne ho scritto per un blog che ora è chiuso
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