Quando presi per mano le parole era un’alternativa al nulla – dieci giorni di pioggia e la carta stampata svaniva in un punto zero
pensai: posso danzare un girotondo ma solo con le “mie” parole – gocce oblique tagliavano i vetri dentro e fuori fluttuava una nebbia pantano oscuro di suoni e voci
bombe al fosforo, insulti e urla grasso che cola e la fame più nera
c’era un buco nell’universo e così io presi per mano parole a caso, sassi affiorati da graffiare sul cartongesso
parole scritte a matita proiettate su questo schermo
isole nella nebbia i miei ricordi – si riaccende con un brivido il filo del presente…mi muovo a bassa intensità di intenti e di gesti: guardo da una panchina sbocciare la Pasqua degli altri
La morte è scesa al nostro fianco ci accompagna nei giorni strani pieni di nebbia, d’ impercettibili strappi di attese, di stravolgimenti – la morte è negli occhi delle incidentate delle donne sventrate, degli uomini stanchi – è fumo e cenere di una guerra che sfuma in droga di assuefazione – la morte è cenere della nostra guerra per esistere, quotidiana
Fine delle emozioni a onda e dei cuori all’unisono – la mia clessidra è capovolta non più arcobaleno di sabbia ma nebbia e cenere
troppo a lungo è stato uniforme il tempo e lo spazio stretto – il mondo, roso dal virus, ora esplode
non canto più – ora è tempo della voce intima: scorre e vive dietro il suono dentro le parole non dette nella caverna dell’anima – alfa ed omega di un suono eterno: siamo usciti e ritorneremo nella sua liquida sfera
Sottile come carta velina la nostra esistenza vibra in bilico
fronte-retro, io sono e sono il nulla: mani trasparenti alla luce, foglie di pioppo al vento i miei pensieri sfumati in alone e baleno – così sottile la mia consistenza già proiettata in lontananze senza ritorno
Piccoli promemoria e sfere di cristallo bollicine di un’anima persa altrove – tra rovesci di sole e gocce sparse nell’alone di luce da eclissi io mi sento un gabbiano affamato chiamo un mondo lontano, disperso
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