Non scrivo più – un foglio bianco al centro della mia mente sotto, non trovo più parole
per abitudine e vecchio vizio parlo ma sempre meno – un fastidio sottile è nell’ascolto di vecchie voci, racconti logori
il mio tempo è trascorso come piuma il passato mi schiaccia come pietre
fuori, la vita crudele, furiosa fuori è la vita tenera, che spunta – ma dentro me io sento un bianco nulla e mi attira insensato – come un sonno avvolgente lo desidero e aspetto
Passo il tempo a osservare eventi che non passano mai la vicina immobile e sola case sbarrate, disabitate stanze ferme, con fantasmi sparenti
(l’isolamento, per me, non è mai finito)
poi, passo il tempo a schivare le persone che scorrono per le strade e frequento le alterità di amicizie irreali nell’etere e vivo tra le pagine di libri consumati voracemente
la sera, mi addormento sfinita quasi avessi vissuto davvero
Avrei voluto cantare e ho pensato di farlo – il mio era soltanto un eco
e ho parlato, sì, ho parlato tanto in mezzo a tanti oppure sola con il mio amore – io credevo di dire
ma chi ha raccolto il filo guardato dentro il pozzo immerso il dito spezzato la linea illusoria di superficie se neppure nel mio profondo io stessa potevo?
tutto rimase suono mimesi e finzione incompetenza – ho creduto di vivere…
eppure
quando prendo contorno e il mio corpo si fonde al tuo o vedo un bimbo agitare le braccia, muovere piccoli passi vacillando con determinazione – sono viva!
Non esiste un linguaggio umano per le saette di piombo e fuoco dal cielo gli squarci nel cemento e nei corpi per le anime nascoste a morire sotto travi e macerie, lentamente
le città sono deserti di cenere sotto l’occhio impassibile dei droni palazzi sventrati sigillano esseri umani – scantinati perduti senza pane e neppure una goccia d’acqua
a milioni sono fuggiti i passetti dei bimbi nella neve con le loro tutine pulite – in quel luogo, ora è morta l’innocenza
ci si vergogna a considerare che questo è stato e in questo momento esiste: un rosario perverso senza fine
neppure uno sarà dimenticato, dicono ma chi conosce il nome del vecchio, della madre, del soldato smembrati nei sacchi grigi? un calcolo a peso per i morti a quintali nelle fosse – le strade bruciano disseminate di ferraglie cavalli di frisia e stracci calcinati – chi mai li potrà riconoscere nominare ad uno ad uno prima che sia l’Apocalisse e gli Angeli terrificanti non lascino scampo a chi ha negato una goccia d’acqua a chi ha torturato, stuprato, ucciso nel segno di Caino?
E compresi che l’anno non era nuovo ma neppure la rabbia mi bastava per esistere, vivere nonostante – con i nervi scoperti, i tagli alle mani e nel cuore – nonostante il grigiore assoluto
mentre l’inverno dalle strade sale dalle rive fangose ai portoni dai mattoni corrosi fin dentro i cervelli, dilaga questo lunghissimo inverno, e non ha fine
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